domenica 27 novembre 2011

Patatine fritte o biberon?


Illustrazione di Gianluigi Marabotti
Illustrazione di Gianluigi Marabotti per "La Scuola di Ancel 
L’American Academy of Pediatrics da tempo raccomanda ai genitori di evitare di mettere i loro figli a letto con un biberon contenente bevande diverse dall’acqua quale strategia per prevenire la carie della prima infanzia.
Intanto da tempo patatine fritte, cibi grassi o precotti, salse, bevande zuccherate, insaccati sono  sotto accusa perché elencati  tra le cause della crescente obesità.
Nessuno mai avrebbe sospettato del tanto amato biberon.
Ci hanno pensato il dott. Robert C. Whitaker e  la dott.ssa Sarah E. Anderson  del  Dipartimento di Sanità Pubblica e Pediatria, Centro per la Ricerca obesità e l’istruzione alla  Temple University di  Philadelphia,    e  la dott.ssa   Sarah E. Anderson  dell Divisione di Epidemiologia, alla  Ohio State University College of Public Health, di Columbus.
Il loro studio, pubblicato su the Journal of Pediatrics,  è stato condotto per osservare il legame tra l’uso prolungato oltre i 24 mesi  di età del biberon e il rischio di obesità infantile.
All’esame quasi settemila bambini statunitensi  nati nel 2001.
La prevalenza  di obesità sale del 5% per quei bambini che fino a 24 mesi hanno utilizzato il biberon per l’assunzione  di bevande o di latte rispetto a quelli che ne avevano sospeso l’utilizzo.
Correggere entro l’anno di età questo comportamento che incoraggia il bambino ad assumere calorie in eccesso può aiutare ridurre il rischio obesità e conferma l’ipotesi che la prevenzione deve iniziare in età prescolare o addirittura nei primi anni di vita.

Scritto per "La scuola di Ancel" : www.lascuoladiancel.it

martedì 22 novembre 2011

Crudo o cotto?



Secondo l’ipotesi più probabile con la scoperta del fuoco da parte dell’Homo erectus l’uomo ha cotto il cibo per conservarlo meglio, per renderlo più commestibile o per rinnovare il profumo sprigionato casualmente dalla carne di animali bruciati dalle fiamme durante un incendio.Restano però ipotesi (sebbene notevolmente accreditate da reperti): in realtà come sia avvenuto il passaggio dal crudo al cotto è ancora un mistero.
Certamente dopo aver scoperto gli effetti del fuoco sugli alimenti la cottura è avvenuta su fiamma viva in cerchi di pietra o in recipienti di pelle. 10.000 anni fa la lavorazione di recipienti di argilla e la conseguente utilizzazione per la cottura e la conservazione ha permesso la sedentarizzazione dei popoli nomadi e la nascita dell’agricoltura.
Il crudo del pesce o della carne è diverso dal crudo di un frutto o della verdura. Alcuni alimenti vengono consumati crudi o conservati (crudi) in acqua salata, in aceto, in olio, in zucchero oppure vengono affumicati o essiccati. Molte sono le aree culturali in cui il pesce viene mangiato crudo (in Giappone il sushi, in Europa la tartara ecc.) e così la carne (il carpaccio, la bistecca al sangue). In Kenia i masai bevono il sangue di una preda ancora viva direttamente da un vena recisa credendo di appropiarsi della forza animale. Secondo l’etnologo Claude Lévi-Strauss “Il crudo costituisce il tramite tra natura e cultura ma si oppone ad entrambe in quanto non elaborato; il cotto risulta il prodotto di un’elaborazione culturale”.
Ma esiste una terza possibilità: “il putrido” che risulta essere il risultato di una elaborazione naturale.

Pubblicato su: 
 http://www.lascuoladiancel.it/2011/09/08/crudo-o-cotto/#ixzz1eS6e7CU4
(illustrazione tratta da "Le Cerveau à tous les Niveaux!")

domenica 20 novembre 2011

Non solo pane


Dal III al VI secolo d.C. l’Europa conobbe un lunghissimo periodo di grande crisi . Decadde l’agricoltura e le campagne si spopolarono. Susseguirono epidemie, carestie e guerre.
Gli alimenti scarseggiarono per cui frequentemente erbe, radici, scarti di varia natura rappresentarono elementi comuni presenti in un pasto.
Il perdurare di tale condizione costrinse gli uomini ad elaborare particolari tecniche di sopravvivenza.
Lo storico ed agiografo gallo romano Gregorio di Tours fra il 543 ed 546 testimoniò, nei suoi scritti, una violenta epidemia di peste bubbonica che colpì la Gallia, l’Italia e la Spagna.
Scrisse: “ Molti facevano il pane con i semi dell’uva o con i fiori dei noccioli; altri con le radici delle felci pressate, seccate e poi ridotte in polvere…”

Pubblicato 8 settembre 2011 www.lascuoladiancel.it