mercoledì 4 gennaio 2012

Il pane fa ingrassare?

E' frequente incontrare persone che accolgono favorevolmente una dieta  a ridotto contenuto di carboidrati (low-carb) convinte che sia la strada più veloce per ritrovare la forma fisica persa.
Il nostro organismo necessita (oltre che di acqua, sali minerali e vitamine) di tre macronutrienti fondamentali: le proteine (uova, pesce, carne, latte, legumi...), i grassi (olio, burro...) e i carboidrati (pasta, riso, pane...).
Ognuno di questi nutrienti ha una specifica funzione. 
Le proteine costruiscono e ripristinano i tessuti (funzione plastica), i grassi rigenerano e costruiscono membrane cellulari e trasportano sostanze liposolubili  ed infine i carboidrati sono utilizzati come fonte energetica.
Se la dieta soddisfa il fabbisogno giornaliero non esiste alcun problema  ma nel caso di carenze o eccessi di uno dei macronutrienti il corpo utilizza meccanismi non "routinari" che a volte comportano produzione di sostanze tossiche (corpi chetonici o urea) o la trasformazione di nutrienti in eccesso in depositi di grasso.
Se nella dieta mancano i carboidrati (pane, pasta o cereali) si avvia la gluconeogenesi ossia la produzione di glucosio (zucchero necessario alle funzioni vitali) a partire dalle proteine. La conseguenza di ciò è una aumentata produzione di scorie azotate e quindi una generale intossicazione.
Quando, invece, il pane fa ingrassare?


1) se nella dieta si eccede con i carboidrati (di cui il pane fa parte) di oltre  il 60% del fabbisogno calorico
2) se non si ottimizzano i consumi (attività aerobica)
3) se la scelta degli alimenti verte su cibi ad alto indice glicemico (per esempio pane bianco).



Il pane a basso indice glicemico è un pane che si ottiene con farine integrali e pasta acida, con farine di avena, orzo o semola di garno duro integrale completamente diverso dal pane bianco a ridotto tempo di fermentazione.
Se si eccede nel consumo di pane bianco la glicemia aumenta rapidamente e questo è un segnale di pericolo per l'organismo che provvede alla rimozione depositando gli zuccheri circolanti sotto forma di grasso nelle cellule adipose.
In definitiva è l'eccesso di pane che va evitato e va infine ricordato che i carboidrati sono epatoprotettori e che la loro mancata presenza nella dieta espone il fegato a maggiori affezioni.

domenica 27 novembre 2011

Patatine fritte o biberon?


Illustrazione di Gianluigi Marabotti
Illustrazione di Gianluigi Marabotti per "La Scuola di Ancel 
L’American Academy of Pediatrics da tempo raccomanda ai genitori di evitare di mettere i loro figli a letto con un biberon contenente bevande diverse dall’acqua quale strategia per prevenire la carie della prima infanzia.
Intanto da tempo patatine fritte, cibi grassi o precotti, salse, bevande zuccherate, insaccati sono  sotto accusa perché elencati  tra le cause della crescente obesità.
Nessuno mai avrebbe sospettato del tanto amato biberon.
Ci hanno pensato il dott. Robert C. Whitaker e  la dott.ssa Sarah E. Anderson  del  Dipartimento di Sanità Pubblica e Pediatria, Centro per la Ricerca obesità e l’istruzione alla  Temple University di  Philadelphia,    e  la dott.ssa   Sarah E. Anderson  dell Divisione di Epidemiologia, alla  Ohio State University College of Public Health, di Columbus.
Il loro studio, pubblicato su the Journal of Pediatrics,  è stato condotto per osservare il legame tra l’uso prolungato oltre i 24 mesi  di età del biberon e il rischio di obesità infantile.
All’esame quasi settemila bambini statunitensi  nati nel 2001.
La prevalenza  di obesità sale del 5% per quei bambini che fino a 24 mesi hanno utilizzato il biberon per l’assunzione  di bevande o di latte rispetto a quelli che ne avevano sospeso l’utilizzo.
Correggere entro l’anno di età questo comportamento che incoraggia il bambino ad assumere calorie in eccesso può aiutare ridurre il rischio obesità e conferma l’ipotesi che la prevenzione deve iniziare in età prescolare o addirittura nei primi anni di vita.

Scritto per "La scuola di Ancel" : www.lascuoladiancel.it

martedì 22 novembre 2011

Crudo o cotto?



Secondo l’ipotesi più probabile con la scoperta del fuoco da parte dell’Homo erectus l’uomo ha cotto il cibo per conservarlo meglio, per renderlo più commestibile o per rinnovare il profumo sprigionato casualmente dalla carne di animali bruciati dalle fiamme durante un incendio.Restano però ipotesi (sebbene notevolmente accreditate da reperti): in realtà come sia avvenuto il passaggio dal crudo al cotto è ancora un mistero.
Certamente dopo aver scoperto gli effetti del fuoco sugli alimenti la cottura è avvenuta su fiamma viva in cerchi di pietra o in recipienti di pelle. 10.000 anni fa la lavorazione di recipienti di argilla e la conseguente utilizzazione per la cottura e la conservazione ha permesso la sedentarizzazione dei popoli nomadi e la nascita dell’agricoltura.
Il crudo del pesce o della carne è diverso dal crudo di un frutto o della verdura. Alcuni alimenti vengono consumati crudi o conservati (crudi) in acqua salata, in aceto, in olio, in zucchero oppure vengono affumicati o essiccati. Molte sono le aree culturali in cui il pesce viene mangiato crudo (in Giappone il sushi, in Europa la tartara ecc.) e così la carne (il carpaccio, la bistecca al sangue). In Kenia i masai bevono il sangue di una preda ancora viva direttamente da un vena recisa credendo di appropiarsi della forza animale. Secondo l’etnologo Claude Lévi-Strauss “Il crudo costituisce il tramite tra natura e cultura ma si oppone ad entrambe in quanto non elaborato; il cotto risulta il prodotto di un’elaborazione culturale”.
Ma esiste una terza possibilità: “il putrido” che risulta essere il risultato di una elaborazione naturale.

Pubblicato su: 
 http://www.lascuoladiancel.it/2011/09/08/crudo-o-cotto/#ixzz1eS6e7CU4
(illustrazione tratta da "Le Cerveau à tous les Niveaux!")

domenica 20 novembre 2011

Non solo pane


Dal III al VI secolo d.C. l’Europa conobbe un lunghissimo periodo di grande crisi . Decadde l’agricoltura e le campagne si spopolarono. Susseguirono epidemie, carestie e guerre.
Gli alimenti scarseggiarono per cui frequentemente erbe, radici, scarti di varia natura rappresentarono elementi comuni presenti in un pasto.
Il perdurare di tale condizione costrinse gli uomini ad elaborare particolari tecniche di sopravvivenza.
Lo storico ed agiografo gallo romano Gregorio di Tours fra il 543 ed 546 testimoniò, nei suoi scritti, una violenta epidemia di peste bubbonica che colpì la Gallia, l’Italia e la Spagna.
Scrisse: “ Molti facevano il pane con i semi dell’uva o con i fiori dei noccioli; altri con le radici delle felci pressate, seccate e poi ridotte in polvere…”

Pubblicato 8 settembre 2011 www.lascuoladiancel.it

lunedì 12 settembre 2011

QUALI COLORI: coloranti artificiali e sostanze fitochimiche

Articolo pubblicato su CIBO & SALUTE 
(Agosto 2011)
www.italyfromitaly.it

Cosa sarebbe una coppa di fragole grigia e una pesca nera?
Un mondo senza colori, con sfumature e diversi toni di grigio che contributo darebbe al nostro gusto?
Il primo stimolo che il cibo esercita su di noi avviene attraverso le forme, i profumi e i colori.
Questi ultimi per Galileo sono spettri privi di realtà fisica che l’uomo può anche immaginare e sognare.
Contribuiscono alla fase cefalica della digestione, possono anche ingannare il gusto e  orientare le nostre scelte verso alimenti “più belli” prima ancora di assaggiarli, evocare sensazioni piacevoli e comunicare emozioni.
Retaggio della nostra evoluzione,  in comune con le piccole scimmie arboricole che si nutrivano di bacche e frutti maturi che trovavano fra i rami, il nostro occhio vede un mondo colorato.

La vista dei colori, meno importante per un carnivoro che invece ha selezionato soggetti con una  maggiore acuità visiva,  è un ottimo strumento per riconoscere i frutti velenosi da quelli buoni e quelli acerbi e amari (in genere verdastri) da quelli maturi (in genere arancioni, rossi o viola) o da quelli ormai troppo maturi (in genere di colore più smorto e bruno). Così l’uomo  vede  a colori traendone un vantaggio nutrizionale.
Meglio a colori e da vicino che bianco e nero da lontano!
Le medicine orientali usano i colori, quale influenza della nostra psiche, per curare molte malattie.
E l’uomo ha imparato, fin dall’antichità, ad accostare colori e sapori per il suo piacere.
Nell’Antica Roma  il cibo veniva colorato con zafferano, come si legge nelle raccolte di ricette di Apicio nel celebre “DE RE COQUINARIA”,  per esaltare il sapore e sovente per ingannare il consumatore.
Nel  Medioevo  la composizione e il colore del cibo assumeva grande importanza: si utilizzava il riso per il bianco, il tuorlo d’uovo e lo zafferano per il giallo,  gli spinaci, il prezzemolo e il basilico per il verde.
Oggi i  grandi Chef propongono “cibi belli da vedere”.
Quello che non potè fare più un pittore, paziente del neurologo inglese Oliver Sacks, che in seguito ad un incidente aveva perso la capacità di distinguere i colori.
Il suo mondo era diventato bianco e nero. Il cibo ripugnante. Per poter mangiare provò a chiudere gli occhi e ad  immaginare i colori. Non riuscendoci orientò i suoi gusti su cibi che realmente erano bianchi o neri come il riso, lo yogurt e le nere olive.
Il verde, il rosso, il viola, il blu, l’arancione, il giallo e il bianco, che li racchiude in sé tutti, colorano la natura e i frutti della terra e sono l’espressione di sostanze fitochimiche utili al nostro benessere. Sostanze che assorbono tutte le lunghezze d’onda dello spettro tranne quelle del colore manifestato e percepito dai nostri sensi.
Il colore è dunque il primo indicatore della qualità del cibo e orienta le scelte verso quelli più adatti alle nostre necessità.
L’uomo ha  imparato a colorare i cibi per aumentarne la gradevolezza e per restituire loro quei colori persi nelle fasi di cottura o conservazione.
Quello che non era naturalmente colorato ha iniziato ad esserlo artificialmente: nel Medioevo sono nati i primi coloranti “artificiali”.  Dal legno del sandalo si estraeva un succo di colore rosa, la gamma dei rossi dei viola e dei blu dalla radice di alcanna.
Oggi i coloranti sono additivi usati nell’industria alimentare per restituire agli alimenti il colore originario perso in seguito alla esposizione alla luce, alle alte o basse temperature, alla cottura e alle diverse trasformazioni. Spesso i coloranti trovano uso solo per rendere gli alimenti più invitanti.
Secondo le Indicazioni del Ministero della Salute i coloranti, per definizione,  sono sostanze che conferiscono un colore ad un alimento o che ne restituiscono la colorazione originaria, ed includono componenti naturali dei prodotti alimentari e altri elementi di origine naturale, normalmente non consumati come alimenti né usati come ingredienti tipici degli alimenti.
I coloranti alimentari permessi dalla legislazione europea (Direttiva Europea 89/107/CEE. In Italia D.M. n. 525 del 6/11/1992) sono indicati in una lista e catalogati dalla sigla E seguita da un numero compreso tra 100 e 199.
 Secondo l’American Food and Board (FNB)  i motivi per cui si colora un alimento sono:
  1.  ridare il colore originario nel caso esso sia stato distrutto o alterato da trattamenti tecnologici o di conservazione;
  2.  assicurare uniformità di colore, correggendo eventuali variazioni di intensità naturale del colore che possano far pensare a conservazione errata e quindi a cattiva qualità;
  3.  intensificare il colore naturale quando esiste un’associazione psicologica fra quel colore e l’alimento;
  4.  proteggere, durante la conservazione, dai raggi del sole, in particolare dagli ultravioletti, aroma e vitamine fotosensibili che, altrimenti, andrebbero perse e degradate;
  5.  conferire un aspetto invitante ad alimenti che altrimenti ne avrebbero uno poco appetibile;
  6. aiutare il riconoscimento dell’alimento e facilitarne l’identità;
  7. fornire un’indicazione visiva della qualità dell’alimento.
Non tutti gli alimenti, però, possono essere colorati. Una lunga lista che riguarda prodotti di largo consumo e per i quali la colorazione è superflua è nota.

 Classi di alimenti che NON possono essere addizionati di coloranti

  • Aceto di vino
  • Acque minerali
  • Alcuni tipi di acquavite
  • Alcuni tipi di bevande alcoliche
  • Alimenti per lattanti e per bambini
  • Caffè
  • Carni
  • Cioccolato
  • Confetture extra
  • Conserve di pomodoro
  • Crostacei
  • Farine
  • Formaggi non inclusi nelle altre tabelle
  • Frutta in scatola
  • Gelatine extra
  • Latte
  • Malto
  • Miele
  • Molluschi
  • Oli
  • Pane
  • Panna
  • Pasta
  • Pesci
  • Pollame
  • Prodotti non lavorati
  • Sale
  • Selvaggina
  • Spezie
  • Succhi di frutta
  • Uova
  • Vegetali in scatola
  • Yogurt
  • Zucchero
I bambini sono maggiormente esposti agli effetti negativi procurati dall’eccesso di assunzione dei cibi colorati artificialmente.  Autorevoli studi hanno dimostrato che i bambini mostrano nei confronti di alcuni coloranti una maggiore sensibilità e soffrono di disturbi dell’attenzione e iperattività. Alcuni coloranti possono scatenare crisi allergiche e reazioni cutanee (e questo anche negli adulti) e alcuni sono stati vietati perché cancerogeni.
I più pericolosi si sono dimostrati i coloranti rossi (atrazine e coloranti azoici) per reazioni da ipersensibilità. Spesso accusati la tartrazina (E102) e carminio (E120) per aver provocato lacrimazioni, eruzioni cutanee, orticaria, offuscamento della vista, asma.
Sotto accusa anche l’eritrosina (E127) per essere causa di ipertiroidismo e ipersensibilità alla luce.
Vietato definitivamente l’E128 per la sua dimostrata cancerogenicità.
Come capire, allora,  “cosa c’è dentro” e scegliere in maniera consapevole le tantissime offerte che ci vengono proposte dall’industria degli alimenti, che ben conosce i meccanismi psicologici innescati dai colori nella scelta.
Alcuni coloranti sono stati vietati perché considerati tossici. Di seguito l’elenco:
COLORE GIALLO
E103
Crisoina resorcinolo. Vietato dal 1977.
Non ammesso nell'Unione Europea
E105
Giallo solido (Fast yellow AB). Vietato dal 1977.
E106
Riboflavina-5-fosfato, sale sodico
E107
Giallo 2G.
Colorante azoico
COLORE ARANCIONE
E111
Arancio GGN.
Vietato dal 1977.
COLORE ROSSO
E121
Orceina, oricello.
Vietato dal 1977.
E125
Scarlatto GN.
E126
Ponceau 6R.
E128


Rosso 2G.
Vietato dal 2007
Cancerogeno, secondo la valutazione effettuata dall'Efsa sugli additivi alimentari, e trasmessa alla Commissione Europea.
COLORE BLU E VIOLETTO
E130
Blu antrachinone, blu d'indantrene R
Vietato dal 1977
COLORE MARRONE E NERO
E152
Nero 7984.
Vietato dal 1977
E153
Carbone medicinale vegetale.
E154
Marrone FK.
E155
Marrone cioccolato HT, Bruno ht

Un lungo elenco di coloranti, invece, non ha alcun effetto nocivo:
DGA: Dose Giornaliera Accettabile espressa in mg/kg di peso corporeo/al giorno.
Codice
COLORANTI
PRESENTI IN:
DGA
COLORE GIALLO


E100
Curcumina
Estratto dalla radice di curcuma.
Colorante arancione-giallo per l’intera massa o per la superficie.
Mostarda, dadi da brodo, minestre preconfezionate, curry
0-1
E101
Riboflavina o Lattoflavina (Vitamina B2).
Prodotta da lievito o sinteticamente.
Biscotti, dolci, derivati del latte, pollo, pesce, fegato, rognone, cereali integrali, germe di grano, lievito di birra, frutta a guscio.
0-0,5
COLORE VERDE


E140
Clorofille e clorofilline.

Gelati, ghiaccioli, dolci
Non determinata
E141
Complessi rameici delle clorofille.

Gelati e dolci
15
GIALLI, ARANCI E ROSSI


E160a
Alfa, Beta, Gamma-carotene.
Estratti dai pigmenti vegetali di carote, pomodori, verdure con foglie verdi, albicocche, arance e frutti delle rose.
Nell’organismo precursore della vitamina A.

Margarina, salse, condimenti, pasticceria, gelati, ghiaccioli, formaggi


Non determinata

E160b
Annatto, Bissina, Norbissina
Estratto dai bacelli dell’albero tropicale Annatto.
Colorante che va dal giallo al pesca.
Margarina, salse, condimenti, pasticceria, gelati, ghiaccioli, formaggi

Non determinata
E160c
Capsantina, capsorubina, estratto di paprica
Formaggi stagionati, cereali estrusi, confetture, gelatine, marmellate, insaccati, patè e terrine

Quanto basta
(negli insaccati 10 mg)
E160d
Licopina.
Estratto naturale dei pomodori.
Colorante rosso.
Confetture, gelatine, marmellate, preparazioni di frutta, bevande analcoliche

100
E160e
Beta-apo-8′-carotenale.
Bevande analcoliche aromatizzate, frutta e ortaggi canditi, mostarda, conserve di frutta, prodotti da forno, formaggi fusi, integratori alimentari e dietetici
100-500
E160f
Estere etilico dell’acido beta-apo-8′-carotenico.
Derivato naturale delle piante.
Colorante che va dall’arancione al rosso-giallognolo.
Bevande analcoliche aromatizzate, frutta e ortaggi canditi, mostarda, conserve di frutta, prodotti da forno, formaggi fusi, integratori alimentari e dietetici


Non determinata
E161
Xantofilla.











Pasticceria, salse, condimenti, gelati











Non determinata
E161a
Flavoxantina.
Pigmento appartenente al gruppo dei carotenoidi.
Colorante giallo.
E161b
Luteina.
Derivato del carotene, uno dei pigmenti vegetali presenti nelle foglie verdi; si trova anche nel tuorlo dell’uovo.
Colorante che va dal giallo al rossastro.
E161c
Criptoxantina.
Derivato del carotene, si trova nei petali e nelle bacche delle piante di uva spina, delle patate e dei pomodori, nella buccia delle arance, nell’uovo e nel burro.
Colorante giallo.
E161d
Rubixantina.
Presente nei falsi frutti delle rosa.
Colorante giallo.
E161e
Violoxantina.
Estratto naturale isolato dalle viole del pensiero.
Colorante giallo.
E161f
Rodoxantina.
Presente in piccole quantità nei semi del tasso.
Colorante giallo.
E161g
Cantaxantina.
Può essere isolato da alcuni funghi e dalle penne di fenicottero. Colorante arancione.
E162
Betanina (Rosso di barbabietola)
Estratto naturale della barbabietola.
Colorante rosso violaceo.
Pasticceria, salse, condimenti, gelati, ghiaccioli

Non determinata
E163
E163a
E163b
E163c
E163d
E163e
E163f
Antociani.
Pelargonidina.
Cianidina.
Peonidina.
Delfinidina.
Petunidina.
Malvidina.
Presenti nel succo cellulare di molti fiori, frutti, gambi, foglie. Coloranti rossi, blu, violetti.


Pasticceria, salse, condimenti, gelati, ghiaccioli



Non determinata

domenica 29 maggio 2011

Il frutto proibito

Tutto è iniziato quando Eva ha offerto ad Adamo quel frutto che  nel corso dei secoli è stato associato ad una mela. 
Probabilmente si trattava di un fico le cui foglie servirono anche per coprire le parti del corpo che improvvisamente apparvero "nude".
Ma nessuno può escludere che quel frutto cresca solo nel Giardino dell'Eden.
Noi, su questa Terra, dobbiamo accontentarci di quel poco che abbiamo e non escludere dalla nostra alimentazione quelli che erroneamente sono considerati "frutti proibiti" per la linea.
Proprio il fico gode di questa cattiva fama.
Ma facciamo un pò di chiarezza:
100 grammi di questo delizioso frutto offrono 75 grammi di parte edibile con 81,9 grammi di acqua e 11,2 grammi di zuccheri disponibili e un totale di 47 Kcal.

Altro frutto "colpevole" la banana.
Le differenze sono minime:
per 100 grammi 65 grammi di parte edibile con 76,8 grammi di acqua e 15,4 grammi di zuccheri disponibili e un totale di 65 Kcal.

Ma vediamo il frutto "assolto": la mela: 45 Kcal (2 Kcal in meno del fico, 94 grammi di parte edibile e 11 grammi di zuccheri disponibili)

Francamente non riesco a trovare nessuna indicazione per "proibire" un solo frutto: dalle pesche (25 Kcal/100 gr.), alle fragole (27 Kcal/100 gr) alle albicocche (28 Kcal/100 gr), fino al temuto melone (solo 33 Kcal/100 gr).
Cerchiamo, allora, di riportare le nostre scelte sui binari della razionalità ed evitare di mortificare in modo inutile i vantaggi che la varietà alimentare con l'apporto dei suoi micronutrienti può darci.